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TEST GENETICI PER TROMBOFILIA

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TEST GENETICI PER TROMBOFILIA

Per tombofilia si intende una predisposizione allo sviluppo delle trombosi , e può essere ereditata nel nostro patrimonio genetico. La trombosi è un accumulo organizzato di piastrine  , fibrina , globuli rossi e bianchi  all’interno di un vaso arterioso o venoso. La gravità della patologia sarà ovviamente correlata con la sede , l’estensione e la concomitanza con altri processi patologici. Nell’ottica della prevenzione sono eseguibili ad oggi dei test genetici su prelievo ematico o tampone buccale che si affiancano ai consueti esami del sangue per la valutazione dello stato trombofilico. I principali ad oggi ricercano mutazioni ripetto al Fattore V di Leiden , al Fattore II ( Protrombina) e all’enzima MTHFR per l’Omocisteina.

IL FATTORE V DI LEIDEN ( G1691A)

Il Fattore V di Leiden (attivato) è un cofattore molto importante per la trasformazione della Protrombina a Trombina nel processo di formazione del trombo. Si attiva , passando da fattore V a Vattivato , favorito  della proteina Cattivata che si forma dalla Proteina C sotto stimolo della Proteina S. L’effetto antitrombotico innescato dalla Proteina Cattivata si esplica mediante il “taglio” del FattoreV in tre parti di cui una è rappresentata dall’amminoacido arginina in posizione 506. La mutazione genetica porta alla sostituzione dell’arginina con la glutammina. Quest’ultima impedendo il “taglio” della Proteina Cattivata conferisce al Fattore V una superiore attività protrombotica. Questa variante si chiama G1691A ed ha una frequenza del 2-4% in Europa( eterozigosi 3% e omozigosi 1:5000). Il rischio trombofilico è aumentato di 8 volte per i soggetti portatori della mutazione in eterozigosi e di 80 volte per quelli in omozigosi. La mutazione diventa particolarmente importante in associazione ad altre condizioni trombofiliche come gravidanza , uso di contraccettivi orali , interventi chirurgici , traumi , varici degli arti inferiori. In gravidanza , anche una condizione di eterozigosi , predispone ad aborti spontanei.

FATTORE II – PROTROMBINA (G20210A)

Il fattore II o Protrombina svolge un ruolo fondamentale nella coagulazione poiché la sua trasformazione in Trombina favorisce il passaggio del Fattore I (Fibrinogeno) a Fibrina con conseguente formazione del coagulo.La mutazione si manifesta con la sostituzione di una guanina con una adenina alla posizione 20210 da cui G20210A. La frequenza della variante è bassa circa 1 %con una percentuale di eterozigoti del 3% mentre l’omozigosi è molto rara.Per gli eterozigoti c’è un rischio aumentato di 3 volte di sviluppare una trombosi venosa , di 5 volte per l’ictus ischemico, di 5 volte per infarto miocardico in donne giovani, di 1,5 volte per gli uomini, di 7 volte nei diabetici, di 10 volte per trombosi delle vene cerebrali e di 149 volte in donne che assumono contraccettivi orali.

MTHFR – metilentetraidrofolatoreduttasi (C667T – A1298C)

L’omocisteina è un amminoacido il cui accumulo aumenterebbe i rischi di trombosi venosa , infarto miocardico e ictus. Il condizionale è d’obbligo poichè sono tutt’ora in corso numerosi studi per verificare la reale correlazione fra accumulo dell’amminoacido ed eventi patologici. Comunque sembra che il deposito di omocisteina in sede intravasale ne lesioni l’endotelio ed aumenti processi di adesività piastrinica. L’omocisteina nel processo di trasformazione a metionina necessita anche dell’ MTHFR. I difetti genetici portano alla diminuzione della disponibilità dell’enzima con accumulo di omocisteina. Una mutazione genetica dell’enzima MTHFR è la mutazione da citosina a timina in posizione 667 che porta a una riduzione di attività di circa il 60% con conseguente accumulo di omocisteina. In Europa abbiamo una percentuale del 3% con 45% di eterozigosi e 10% di omozigosi. Altra mutazione è la sostituzione di una adenina con una citosina in posizione 1298 con conseguente diminuzione di livelli di MTHFR e innalzamento dell’omocisteinemia. Il danno causato dall’iperomocisteinemia sarebbe graduale e inizialmente asintomatico. Il rischio cardiovascolare si manifesta comunque in soggetti con riduzione dei folati. Risulta pertanto importante l’assunzione di acido folico al fine di minimizzarei rischi.

CONCLUSIONI

Tutte le varianti genetiche esposte possono presentarsi singolarmente o in associazione. Ovviamente il rischio cardiovascolare aumenta all’aumentare delle mutazioni , alla loro presentazione (omozigosi/eterozigosi) e all’associazioni di altri fattori predisponenti. In presenza di trombofilia ereditaria è utile l’esecuzione dei test al fine di attuare uno stile di vita o una terapia consona o indicazioni ad ulteriori accertamenti per ridurre al minimo i rischi cardiovascolari. L’indicazione ad effettuare i test deve essere data da un medico ed eventualmente integrata con ulteriori esami. I test genetici sovraesposti sono eseguibili da tampone buccale o in alternativa da prelievo ematico con refertazione in pochi giorni.  

IL POTERIUM SPINOSUM E LA BERBERINA: L’INSULINA VEGETALE

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IL POTERIUM SPINOSUM E LA BERBERINA: L’INSULINA VEGETALE

di VLADIMIRO COLOMBI

Il Poterium spinosum, nota anche come Pimpinella spinosa (o in Toscana come spina porci) è un arbusto perenne appartenente alla famiglia delle Rosacee alto tra i 30 e i 60 cm di origine medio orientale (Libano in particolare) usato tradizionalmente in quelle regione geografiche per la prevenzione il trattamento del diabete e dei disturbi legati alla glicemia. Cresce prevalentemente nell’Europa australe, in Grecia, in Dalmazia, a Cipro, Creta, Siria, Libia e Tunisia, ma anche in Italia nelle regioni aride, come per esempio alcune aree della Sardegna e della Sicilia. Storicamente sono sempre stati i beduini a utilizzarla come antidiabetico conoscendo le virtù ipoglicemizzanti. Tra queste popolazioni infatti è stato osservato, come in passato è spesso accaduto per altre grandi scoperte (omega 3 e infarto per la popolazione esquimese, curry e Alzheimer per gli indiani etc…etc…) che le popolazioni berbere che ne facevano largo uso, pur nutrendosi con un alimentazione ricca di carboidrati e zuccheri, avevano un’incidenza bassissima di malattie diabetiche. I beduini infatti sono ancora oggi soliti cuocere le radici di questa pianta a lungo per poi sorseggiarla nel corso della giornata. In questo modo riescono a mantenere un livello di zuccheri basso nel sangue evitando i ben noti “picchi glicemici” nel corso della giornata. In Italia è ancora oggi poco nota nonostante oramai le più recenti ricerche abbiano ben chiarito quale sia il funzionamento del suo principale principio attivo: la berberina. Il primo medico ad utilizzarla nel nostro paese è stato il dr. Luigi Oreste Speciani, che ha lasciato una grande eredità nel mondo della medicina naturale (con particolare riguardo ai suoi studi in merito al cosiddetto “uomo integrato”, che ha messo in luce la relazione  e l’interferenza tra l’ambiente e l’uomo e la cui opera ad oggi rappresenta un pilastro della psicosomatica). Fu lui ad ottenere i primi risultati importanti attraverso l’uso del poterium spinosum. La berberina si trova non solo nel poterium spinosum, ma anche in altre piante, una delle quale è l’Hydrastis canadensis, una pianta utilizzata in fitoterapia anche per le infezioni delle vie urinarie. Nel 2010 è stato lanciato un allarme in merito al suo impiego per un sospetto rischio di trombosi venosa, ma non vi è stato seguito a tale notizia e ad oggi è normalmente commercializzata in varie formulazioni. La sua azione è sinergica con la silimarina, il principio attivo contenuto nel cardo mariano, una pianta autoctona molto attiva nella prevenzione della steatosi epatica e nelle intossicazioni del fegato. E’ stato osservato che in caso di sindrome metabolica (quando cioè pressione alta, colesterolo alto e zuccheri elevati si combinano) la sua potenza aumenta se associata al cardo mariano. Recenti ricerche su di essa hanno dimostrato come sia in grado di ridurre i trigliceridi, i rischi di aterosclerosi e abbassare l’infiammazione sistemica, vero target della ricerca mondiale in questo momento. Tuttavia, è possibile che non sia la sola berberina ad avere questa azione ipoglicemizzante, ma piuttosto un pool di sostanze in essa contenuta. Un chimico tedesco Aiman Kuzbari aveva raccolto molte prove sulle possibili azioni e i meccanismi di funzionamento della pianta, ma purtroppo i suoi appunti  sono andati perduti dopo la sua morte. Egli riteneva che fossero più di uno i principi attivi responsabili dell’azione ipoglicemizzante della pianta, e che tra essi ve ne fosse molto facilmente uno in grado  le isole di Langherhans, le cellule danneggiate nella malattia diabetica. Oltre a queste funzioni il poterium spinosum è noto stato impiegato per la sua azione vasodilatatrice periferica e corononarica, antiipertensiva e antiaritmica, dimostrandosi pertanto molto duttile per la protezione della salute nell’età senile, ma soprattutto dai numerosi danni che la malattia diabetica produce a carico dell’apparato cardiovascolare. Si tratta di una pianta della quale non sono mai stati osservati effetti collaterali, che in forma di decotto  può essere usata al dosaggio di 20 grammi per litro d’acqua, ma che può essere utilmente impiegata anche in forma di tintura madre.

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