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IL FRITTO CHE FA MALE: COME E PERCHE’

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IL FRITTO CHE FA MALE: COME E PERCHE’

di Vladimiro Colombi

E’ praticamente di dominio pubblico che un’alimentazione ricca di alimenti fritti è pericolosa per la salute. La frittura (e piu’ in generale tutte le cotture ad elevate temperature)  inducono la produzione di dei cosiddetti “Age”, sostanze in grado di favorire l’infiammazione , la resistenza insulinica e l’invecchiamento del corpo. Alcuni studi recenti però stanno evidenziando anche come queste pericolose molecole siano in grado di compromettere i meccanismi fisiologici delle sirtuine, una famiglia di proteine la cui attività enzimatica è implicata nei fenomeni relativi all’invecchiamento, ai meccanismi di regolazione di vita e di morte delle cellule (apoptosi) ma anche la resistenza allo stress. Scoperte nel 1991 negli Stati Uniti da Leonard Guarente, sono oggi uno dei target di studio e di ricerca importanti per le farmaceutiche e le aziende che si occupano di integratori alimentari, perché riuscire a modulare la produzione e in funzionamento di queste sostanze potrebbe essere un elemento fondamentale per interferire con l’invecchiamento umano. Ebbene alcuni studi recenti dicevamo hanno evidenziato come queste pericolose molecole (Age, i prodotti della glicazione avanzata) siano in grado di interferire negativamente con il metablismo delle sirtuine inibendone l’attività.

ALIMENTAZIONE – SALE E PRESSIONE ARTERIOSA

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ALIMENTAZIONE – CONSUMO DI SALE E PRESSIONE ARTERIOSA

il consumo giornaliero raccomandato di sale in soggetti normotesi dovrebbe essere inferiore a 2300 mg/die. In realtà la popolazione normale ne consuma circa 3400 mg/die. Una dieta iposodica ( a basso contenuto di sale) nell’ordine dei 1500 mg/die condotta per 30 gg. genera , mediamente , un abbassamento della pressione arteriosa sistolica di che va da 3 a 7 mmHg a seconda degli studi. Ovviamente non vengono presi in considerazioni pazienti ipertesi in trattamento farmacologico. Non sono disponibili studi di ampie dimensioni che dimostrino che una riduzione del consumo di sale riduca il rischio di infarto al miocardio. Nel corso degli anni si sono realizzati vari studi con correlazione fra consumo di sale ed eventi cardiovascolari che hanno dato risultati differenti in percentuale ma anche in indicazione. Ricordiamo che un rene normalmente funzionante si adatta a considerevoli apporti di sale mantenendo una pressione arteriosa costante. Non abbiamo però una risposta uniforme in tutti gli individui. Alcuni non mostrano alcun effetto sulla pressione arteriosa sistolica mentre altri sono maggiormente condizionati dall’assunzione di sodio.

CONCLUSIONI:

Dall’analisi dei vari studi disponibili possiamo dire che la riduzione del consumo di sale può ridurre la pressione arteriosa sistolica sia in pazienti normotesi che in quelli ipertesi. Non esiste però ad oggi una dimostrazione diretta che l’entità di tale riduzione determini una diminuzione di mortalità cardiovascolare.

IL POTERIUM SPINOSUM E LA BERBERINA: L’INSULINA VEGETALE

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IL POTERIUM SPINOSUM E LA BERBERINA: L’INSULINA VEGETALE

di VLADIMIRO COLOMBI

Il Poterium spinosum, nota anche come Pimpinella spinosa (o in Toscana come spina porci) è un arbusto perenne appartenente alla famiglia delle Rosacee alto tra i 30 e i 60 cm di origine medio orientale (Libano in particolare) usato tradizionalmente in quelle regione geografiche per la prevenzione il trattamento del diabete e dei disturbi legati alla glicemia. Cresce prevalentemente nell’Europa australe, in Grecia, in Dalmazia, a Cipro, Creta, Siria, Libia e Tunisia, ma anche in Italia nelle regioni aride, come per esempio alcune aree della Sardegna e della Sicilia. Storicamente sono sempre stati i beduini a utilizzarla come antidiabetico conoscendo le virtù ipoglicemizzanti. Tra queste popolazioni infatti è stato osservato, come in passato è spesso accaduto per altre grandi scoperte (omega 3 e infarto per la popolazione esquimese, curry e Alzheimer per gli indiani etc…etc…) che le popolazioni berbere che ne facevano largo uso, pur nutrendosi con un alimentazione ricca di carboidrati e zuccheri, avevano un’incidenza bassissima di malattie diabetiche. I beduini infatti sono ancora oggi soliti cuocere le radici di questa pianta a lungo per poi sorseggiarla nel corso della giornata. In questo modo riescono a mantenere un livello di zuccheri basso nel sangue evitando i ben noti “picchi glicemici” nel corso della giornata. In Italia è ancora oggi poco nota nonostante oramai le più recenti ricerche abbiano ben chiarito quale sia il funzionamento del suo principale principio attivo: la berberina. Il primo medico ad utilizzarla nel nostro paese è stato il dr. Luigi Oreste Speciani, che ha lasciato una grande eredità nel mondo della medicina naturale (con particolare riguardo ai suoi studi in merito al cosiddetto “uomo integrato”, che ha messo in luce la relazione  e l’interferenza tra l’ambiente e l’uomo e la cui opera ad oggi rappresenta un pilastro della psicosomatica). Fu lui ad ottenere i primi risultati importanti attraverso l’uso del poterium spinosum. La berberina si trova non solo nel poterium spinosum, ma anche in altre piante, una delle quale è l’Hydrastis canadensis, una pianta utilizzata in fitoterapia anche per le infezioni delle vie urinarie. Nel 2010 è stato lanciato un allarme in merito al suo impiego per un sospetto rischio di trombosi venosa, ma non vi è stato seguito a tale notizia e ad oggi è normalmente commercializzata in varie formulazioni. La sua azione è sinergica con la silimarina, il principio attivo contenuto nel cardo mariano, una pianta autoctona molto attiva nella prevenzione della steatosi epatica e nelle intossicazioni del fegato. E’ stato osservato che in caso di sindrome metabolica (quando cioè pressione alta, colesterolo alto e zuccheri elevati si combinano) la sua potenza aumenta se associata al cardo mariano. Recenti ricerche su di essa hanno dimostrato come sia in grado di ridurre i trigliceridi, i rischi di aterosclerosi e abbassare l’infiammazione sistemica, vero target della ricerca mondiale in questo momento. Tuttavia, è possibile che non sia la sola berberina ad avere questa azione ipoglicemizzante, ma piuttosto un pool di sostanze in essa contenuta. Un chimico tedesco Aiman Kuzbari aveva raccolto molte prove sulle possibili azioni e i meccanismi di funzionamento della pianta, ma purtroppo i suoi appunti  sono andati perduti dopo la sua morte. Egli riteneva che fossero più di uno i principi attivi responsabili dell’azione ipoglicemizzante della pianta, e che tra essi ve ne fosse molto facilmente uno in grado  le isole di Langherhans, le cellule danneggiate nella malattia diabetica. Oltre a queste funzioni il poterium spinosum è noto stato impiegato per la sua azione vasodilatatrice periferica e corononarica, antiipertensiva e antiaritmica, dimostrandosi pertanto molto duttile per la protezione della salute nell’età senile, ma soprattutto dai numerosi danni che la malattia diabetica produce a carico dell’apparato cardiovascolare. Si tratta di una pianta della quale non sono mai stati osservati effetti collaterali, che in forma di decotto  può essere usata al dosaggio di 20 grammi per litro d’acqua, ma che può essere utilmente impiegata anche in forma di tintura madre.

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